Quando il cibo ci mente: il marketing e l’illusione del ricordo
La pubblicità non vende cibo, vende memorie che non abbiamo mai vissuto
“Quel biscotto mi ricorda l’infanzia.”
Davvero? O solo lo spot che ti raccontava com’era la tua infanzia?
Viviamo in un’epoca in cui non mangiamo più solo per nutrirci o per piacere, ma per rivivere ricordi che non ci appartengono. Il marketing alimentare ha imparato a fare qualcosa di straordinario (e inquietante): sostituire la nostra memoria affettiva con un surrogato confezionato.
L'inganno della memoria prefabbricata
Nel nostro cervello, gusto e memoria condividono le stesse aree emotive: l’amigdala e l’ippocampo. Questo spiega perché un sapore può evocare nostalgia, sicurezza, calore.
👉 Il marketing lo sa benissimo.
E ha iniziato a costruire prodotti pensati per sembrare familiari, prima ancora che buoni.
Non ci vendono solo merendine o yogurt. Ci vendono:
- l’illusione della merenda con la nonna
- il tepore di una colazione in famiglia
- l’idea di appartenenza che non abbiamo mai vissuto davvero
Questi sono “simulacri affettivi”: emozioni in scatola, replicabili e distribuite in larga scala.
Una strategia estetica e psicologica
L’industria alimentare impiega un’estetica della memoria per convincerti che quella crema spalmabile sia “come fatta in casa”, anche se arriva da una linea di produzione.
Ecco come funziona:
- Colori vintage, font calligrafici, carta ruvida → imitano l’artigianalità
- Narrazioni familiari → “ricetta della nonna”, “gusto autentico”
- Spot emotivi → bambini felici, tavole imbandite, scene “intime”
Tutto è progettato per attivare una nostalgia indotta.
È come se qualcuno ti dicesse: “So che non hai vissuto questo, ma ti regalo il ricordo.”
Il risultato? Un’identità alimentare confusa
Quando il gusto è manipolato per evocare emozioni preconfezionate, perdiamo il legame autentico con il nostro palato.
Smettiamo di chiederci:
- Mi piace davvero questo sapore?
- Lo sto mangiando perché lo desidero o perché lo riconosco?
Mangiare diventa una reazione automatica a un ricordo che non ci appartiene.
Conseguenze concrete
Falsa familiarità: riconosci un sapore solo perché lo hai visto mille volte in uno spot.
Abitudini indotte: associ comfort a cibi che non ti fanno bene, ma “ti sembrano casa”.
Dipendenza emotiva dal cibo industriale: non è il biscotto che ti manca, è l’idea che rappresenta.
Cosa dice la scienza?
Uno studio pubblicato su Cell Metabolism (Hall et al., 2019) ha rilevato che i cibi ultraprocessati inducono un consumo maggiore di calorie rispetto a una dieta integrale, anche se identici per macronutrienti.
👉 Il motivo? Il design emozionale del prodotto, che ne aumenta la desiderabilità e abbassa il controllo cosciente.
Riconnettersi con il gusto vero
La soluzione non è demonizzare tutto, ma riprendersi la libertà di sentire.
Ecco alcune strategie:
1. Sospendi il giudizio automatico
Chiediti: mi piace questo sapore perché lo conosco… o perché lo desidero?
2. Crea veri ricordi legati al cibo
Cucina con qualcuno, mangia lentamente, esplora gusti nuovi: fai del cibo una memoria reale, non indotta.
3. Rieduca il palato
All’inizio sembrerà “insipido”, ma nel tempo il gusto vero riaffiora, come un senso dimenticato.
Conclusione
Il marketing alimentare ha colonizzato il nostro immaginario. Non ci ha solo detto cosa mangiare, ma come dovremmo ricordare, desiderare, appartenere.
Il compito di oggi è riscoprire il gusto come atto personale e consapevole, non come nostalgia prefabbricata.
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flavio_campaniolo
Data di inserimento 09 giu 2025
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