La dieta pitagorica: quando mangiare era un atto filosofico
C’è stato un tempo in cui la scelta di cosa mangiare non era solo questione di gusto, salute o moda. Era una questione etica, spirituale, filosofica. Quel tempo risale all’antica Grecia, e uno dei suoi protagonisti è una figura che ancora oggi richiama fascino e mistero: Pitagora. Sì, proprio lui, il matematico dei triangoli e dei numeri perfetti.
Ma Pitagora non fu solo uno scienziato. Fu anche un riformatore morale, un mistico, un pensatore che credeva che l’alimentazione potesse influenzare l’anima. E fu il primo, almeno in Occidente, a proporre una vera e propria dieta fondata su principi morali e cosmici: la dieta pitagorica, considerata da molti come l’antenata del vegetarianismo moderno.
Cosa prevedeva la dieta pitagorica?
La dieta pitagorica era incentrata su un principio fondamentale: non mangiare carne. Pitagora e i suoi seguaci evitavano tutti gli alimenti di origine animale, con alcune eccezioni per il latte e il miele (che oggi definiremmo quindi più "lattovegetariani" che vegani). Le motivazioni non erano mediche né ambientali, bensì spirituali:
“Tutti gli esseri viventi sono legati da una stessa anima cosmica” – credevano i pitagorici – “e uccidere un animale per nutrirsi significa infrangere l’armonia dell’universo”.
Evitarono anche i legumi (soprattutto le fave), per ragioni complesse e misteriose: forse per motivi di digestione, forse per credenze legate alla reincarnazione o alla somiglianza dei semi con gli embrioni umani.
Dieta, anima e reincarnazione
Per comprendere davvero la dieta pitagorica, bisogna entrare nella visione del mondo di Pitagora. I suoi seguaci credevano nella metempsicosi, cioè nella trasmigrazione delle anime: l’idea che, dopo la morte, l’anima potesse reincarnarsi in altri esseri, umani o animali.
Mangiare carne, in questa visione, poteva significare nutrirsi di un’anima affine, o addirittura di un antenato. La dieta diventava quindi un modo per purificarsi, per mantenere un’armonia interiore e cosmica, per vivere in sintonia con l’ordine dell’universo.
Un’eredità dimenticata (e poi riscoperta)
Per secoli, la dieta pitagorica fu una curiosità filosofica, spesso derisa o fraintesa. Ma nel Rinascimento – quando l’uomo riscoprì gli antichi filosofi greci – il pensiero pitagorico tornò a circolare, e con esso anche le riflessioni sull’alimentazione.
Molti umanisti, tra cui Leonardo da Vinci, si ispirarono a Pitagora per promuovere un rapporto più etico e armonioso con la natura. Nei secoli successivi, la dieta pitagorica divenne sinonimo di vegetarianismo: ancora nell’Ottocento, molti dizionari definivano i vegetariani come “seguaci della dieta pitagorica”
Una lezione per il presente
Oggi il vegetarianismo (e il veganismo) sono in crescita per motivi ambientali, salutistici ed etici. Eppure è interessante ricordare che già 2.500 anni fa qualcuno vedeva nella scelta alimentare un gesto politico, morale e spirituale. Pitagora ci ricorda che ciò che mettiamo nel piatto non riguarda solo il corpo, ma anche il nostro modo di stare al mondo.
La sua dieta non era una moda, né una prescrizione medica: era una pratica di armonia. Una via per cercare equilibrio tra uomo, natura e universo. In un’epoca come la nostra, in cui il cibo è spesso spettacolo o consumo, questa antica visione può ancora parlarci. Con dolcezza, ma con forza.
Curiosità finale
- Il termine “vegetariano” apparve solo nel XIX secolo. Prima si parlava spesso di “regime pitagorico”.
- La dieta pitagorica è stata interpretata anche in chiave proto-vegan, dato il rifiuto di molti cibi di origine animale.
- Alcuni credono che Pitagora adottasse la dieta per “rendere la mente più lucida e predisposta alla contemplazione dei numeri”.
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Data di inserimento 14 lug 2025
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